Homo sapiens: l'uomo moderno

La transizione all'uomo attuale

La produzione di manufatti, l’uso del fuoco, il nuovo modo di alimentarsi, alla lunga hanno avuto riflessi sulla struttura anatomica ed in particolare su quella del viso e del capo. Il confronto dei resti fossili ci dice che le dimensioni dei denti e dell’arcata alveolare nella quale essi si inseriscono, si sono ridotte, ma non si sono ridotte in proporzione le dimensioni della mandibola, sicché questa sporge formando il mento.

Si sono diminuite le dimensioni dei muscoli temporali adibiti alla masticazione, il cui punto di attacco è sceso dalla sommità della volta del cranio alle ossa temporali. La riduzione dei muscoli masseteri ha avuto come conseguenza la riduzione della arcate zigomatiche alle quali essi si attaccano, nonché la restrizione del canale attraverso il quale passano i muscoli temporali. La riduzione della sollecitazione meccanica operata dai muscoli della masticazione ha avuto altri effetti: la riduzione della trazione della volta cranica verso il basso ha fatto sì che essa divenisse meno piatta e che le voluminose arcate sopraorbitarie sulle quali si scaricano, in parte, quelle sollecitazioni si riducessero; insomma, il viso si è ingentilito, almeno dal nostro punto di vista.

Nel descrivere le modifiche alle quali sono andate incontro le ossa craniche di Homo erectus, non è stato adoperato il termine di evoluzione, ciò perché molti indizi portano a credere che esse non sarebbero frutto di variazioni del patrimonio ereditario, bensì di variazioni “ecofenotipiche”.(Influenza ambientale precoce dovuta a geni regolatori) In altre parole: ci sarebbe stata –a parità di genotipo- una diversa realizzazione della morfologia, una diversa realizzazione del fenotipo in rapporto a un habitat e a uno stile di vita meno stressante. Molti paleontologi concordano su questo punto. (Adattamento morfo-fisiologico all’ambiente ).

Qualcuno ha osservato in modo incisivo che Homo sapiens differisce da Homo erectus quanto il leone nato in gabbia e cresciuto in cattività differisce dal leone nato nella savana e cresciuto andando a caccia di robusti e veloci animali erbivori. Le ultime e più cospicue modificazioni che appaiono nell’uomo moderno sarebbero quindi dovute alla ‘domesticità’.

Homo erectus domina la scena nel vecchio mondo da oltre un milione di anni a circa 500.000 anni fa. La transizione all’uomo moderno, Homo sapiens, è controversa e certamente ha avuto andamento diverso a seconda dei luoghi. In larga misura è avvenuta tra il II e III interglaciale cioè tra 500.000 e 450.000 anni fa.

Le popolazioni mongoliche

Gli studi di paleontologia hanno considerato le concordanze tra gli abbondanti resti del cosiddetto Sinanthropus, cioè Homo erectus del territorio cinese scomparso meno di mezzo milione di anni fa, e le attuali popolazioni della Cina rilevando che alcuni minuti caratteri morfologici, soprattutto della dentatura, indicano che parte del patrimonio ereditario di quelle antiche popolazioni sia passato in quelle attuali.

In base a questa concordanze si può affermare che molte delle caratteristiche genetiche di Homo sapiens sono state ereditate da ceppi diversi di Homo erectus tra quelli esistenti in loco dal tipo mongoloide di Homo erectus.

Una parte della morfologia delle popolazioni che occupano la parte centro-orientale del continente asiatico, è stata, per così dire modellata dal freddo. Si riducono tutte le sporgenze che rischiano il congelamento e tutte le cavità, come le orbite, in cui si può formare ghiaccio, sono ridotte. La rima palpebrale diviene una stretta fenditura che protegge dal riverbero della neve e le palpebre stesse acquisiscono un più forte spessore Parallelamente la villosità attorno al viso si riduce perché, con il vapore del respiro, barba e baffi possono trasformarsi in blocchi di ghiaccio. Infatti nelle popolazioni coreane, giapponesi e indocinesi, esposte meno a lungo al clima continentale tali caratteri sono sfumati.

Il popolamento del continente americano

Intorno ai 16.000 anni fa alcune piccole tribù hanno a più riprese attraversato lo stretto di Bering, allora quasi tutto all’asciutto seguendo i mammuth e i mastodonti e le renne, si sono trasferite nel continente americano. Secondo ricostruzioni attendibili queste popolazioni appartenevano ad un ceppo oggi confinato nelle falde orientali dell’Himalaya.

Ve n’erano altri, forse dell’etnia Ainu, dotati in varia misura di caratteristiche che somigliano a quelle degli austroloidi o degli europei. Portavano con se una cultura neolitica (che in Asia precede quella europea) di popoli raccoglitori e cacciatori, anche capaci di intrecciare fibre vegetali e produrre manufatti di terracotta. In tempi relativamente brevi questa popolazione si spinse lungo un corridoio occidentale, prossimo all’Oceano Pacifico, libero dai ghiacci per poi dilagare nell’intero continente. Per effetto della deriva genetica avevano circa il 75% del gruppo sanguigno 0 (cioè l’allele I° del sistema ABO). Per ulteriore deriva le popolazioni che si sono insediate nel Messico Centrale, e poi più a sud fino alla Terra del Fuoco, erano tutte e solo di gruppo sanguigno 0.

Erano popoli cacciatori, ma impararono presto a utilizzare le radici della manioca. Quattromila anni fa gli Amerindi, o Indiani d’America, addomesticarono il mais e poi la patata e nello Yucatan, in Messico, come in Perù conseguirono una struttura sociale ed un livello culturale molto elevato che la colonizzazione europea ha distrutto mezzo millennio di anni fa.

Popolazioni australoidi

I reperti dell’Homo erectus in Indonesia sono frequenti e corrispondono alla descrizione che Dubois aveva dato di questa specie, ma sono più antichi di quelli all’interno della Cina. Sta di fatto che dal più antico ceppo di Homo erectus è derivato un ceppo pigmeo con bassissima capacità cranica” , dell’isola di Flores” che è sparito, si stima , intorno 14.000 anni fa o prima, e che potrebbe essere imparentato con l’attuale popolazione pigmoide delle isole Andamane e della Malesia Un ben più importante ceppo derivato prende origine da una forte migrazione verso sud: ne è derivata l’attuale etnia australoide che comprende , oltre agli Aborigeni Australiani, i Papua della nuova Guinea e i Tasmaniani. Gli Aborigeni australiani conservavano, due secoli fa, una cultura del paleolitico superiore, ma non conoscevano l’arco e le frecce per la caccia e usavano la cerbottana e il boomerang.

La cultura tasmaniana era molto simile a quella degli aborigeni australiani che, secondo varie stime, in base a reperti paleontologici, sono giunti nel “continente nuovissimo” intorno a 45000 anni fa.

Per i Papua della Nuova Guinea non si hanno indicazioni sul loro arrivo (l’ambiente forestale mal si presta a conservare i fossili), quando sono stati scoperti avevano una cultura mesolitica molto progredita che permetteva loro di essere ottimi carpentieri, erano in grado di abbattere con strumenti di selce grossi alberi, di costruire grandi edifici di legno, che ospitavano decine di famiglie, case su palafitte e grandi imbarcazioni di vario tipo. Dalla ibridazione di una popolazione dalla pelle nera e dei Papua pare siano derivati i Melanesiani, stanziali nelle isole Salomone, grandi navigatori che hanno popolato 600 anni fa la Nuova Zelanda e gli arcipelaghi dell’Oceano Pacifico Meridionale. Siamo ormai in epoca storica.

Homo sapiens in Europa

Secondo le interpretazioni del '900, Homo sapiens compare in Europa 450.000 anni fa con forme arcaiche variamente denominate, durante il secondo interglaciale. I fossili più antichi presentano varie differenze rispetto a Homo erectus, piuttosto modeste: la capacità cranica superava quella dei predecessori di circa 100 ml; il restringimento post-orbitario era minore, le dimensioni dei molari erano ridotte mentre la qualità dei manufatti era migliore e viene indicata come cultura aurigniaziana del Paleolitico medio.

Giunti al breve interglaciale III i reperti di Homo sapiens, molto ingentilito si diradano mentre diventano frequenti in Europa, i resti fossili di una sottospecie Homo sapiens neanderthalensis. Questa sottospecie aveva braccia e gambe piuttosto corte, un capo molto grosso, allungato, della capacità di circa 1400 ml, un po’ maggiore di quella dell’uomo attuale di statura bassa. Il volto era incorniciato da arcate sopraorbitarie molto sporgenti, separate, che fungevano anche da visiera, mentre il mento mancava. I denti erano un po’ più piccoli dell’Homo erectus. avevano un’ampia cavità della polpa e radici brevi;negli individui anziani era frequente la loro perdita a causa della piorrea, ma più spesso erano consumati a raso delle gengive dalla masticazione delle pelli al fine di conciarle e usarle come indumenti.

Per i fossili dell’Uomo di Neanderthal è stato possibile esaminare il DNA e confrontarlo con quello delle sottospecie sapiens fossile e attuale. Le differenze sono risultate molto forti e, secondo alcuni studiosi, giustificherebbero l’attribuzione ad una specie diversa, tuttavia le coincidenze culturali sono molto strette e sconsigliano questa soluzione.

Questa sottospecie disponeva di una cultura molto progredita, detta musteriana che, oltre ad utensili di pietra di buona fattura, ci ha lasciato raschiatoi per pulire le pelli, aghi per cucirle, flauti ricavati da ossa di orso, con fori da chiudere con le dita che, a detta degli specialisti, permettevano una corretta accordatura.

La cultura musteriana inizia circa 150.000 anni fa e termina 24.000 anni fa con l’ultima fase glaciale del Würm. L’uomo di Neanderthal ha quindi convissuto in un clima molto rigido con i mammuth, con il rinoceronte villoso, con l’orso delle caverne, Ursus spelaeus; con quest’ultimo condivideva l’area di distribuzione e anche le dimore entro le caverne.

Sull’uomo di Neanderthal sono state formulate ipotesi errate: avrebbe camminato curvo con le ginocchia flesse; era privo di linguaggio, è stato sterminato dall’Homo sapiens di tipo moderno quando questo è ritornato numeroso in Europa. Quest’ultima notizia sembra ricalcata su quella del totale sterminio degli indigeni della Tasmania e di quelli della Terra del Fuoco da parte dei coloni europei, ma si deve notare che in questi recenti casi le popolazioni indigene erano confinate entro isole dalle quali non si poteva fuggire e la disparità delle armi era enorme. Homo sapiens e uomo di Neanderthal erano invece sparsi su un intero continente. Più probabile è che le popolazioni che si sono incontrate avessero diversa ricettività e reattività nei riguardi di malattie contagiose. Come ancora oggi avviene per la pertosse e la rosolia, malattie con elevata mortalità per le popolazioni polinesiane e amerinde.

Durante la glaciazione di Würm la sottospecie sapiens si afferma sempre più e mostra caratteri somatici molto ‘ingentiliti’. La lavorazione della pietra per la macellazione delle prede è migliorata ed arricchita. Ciò ci dice che la caccia è la principale fonte di sussistenza per le popolazioni. Anche l’attività artistica ci testimonia l’alto livello culturale conseguito: sulle pareti di alcune grotte della Francia e della Spagna si conservano splendide pitture e alcune statuette di pietra sono riferibili a questo periodo. Da queste popolazioni, si presume, siano derivati gli Europidi, detti anche Caucasici, che hanno popolato l’Europa, l’India, il Nord Africa e il corno d’Africa. La popolazione indo-europea presenta gradi molto diversi di pigmentazione della pelle in relazione alle latitudini che riflette il diverso grado di adattamento alla temperatura e all’irraggiamento solare.

Segue il periodo Neolitico della pietra levigata. Con l’agricoltura, comparsa in Asia 11.000 anni fa, e con la lavorazione dei metalli, finisce la preistoria.

Il più antico popolamento dell'Homo sapiens in Africa

La biologia molecolare afferma che Homo sapiens sia comparso in Africa attorno a 200.000 anni fa. Ma da quella data, fino al Paleolitico medio, mancano reperti sicuri. Oggi si sa che 20.000 anni fa vivevano nel monte Waterberg nella Namibia gli antenati del popolo Khoisan che comprendono gli attuali Khoi, o Ottentotti, e i San, o Boscimani, ultimi rappresentanti della quarta grande popolazione che si attribuisce alla specie umana.

I San comprendono poche migliaia di individui di statura piccola, probabilmente a causa della vita di stenti che questi uomini conducono. Vivono di caccia e raccolta nei deserti del Kalahari e della Namibia. Hanno pelle chiara, giallastra che diventa molto rugosa negli anziani, viso triangolare con fronte alta, mento sporgente, palpebre di taglio mongolico e capelli con minuscoli ricci a ‘grano di pepe’. Nelle femmine ben nutrite si accumula nelle natiche molto grasso (steatopigia), garanzia di sopravvivenza per lunghi periodi di carestia. Non bevono acqua, ma se la procurano mangiando piante e frutti succulenti, non fabbricano vasi d’argilla o altro tipo, ma usano gusci di uova di struzzo, parlano una lingua di suoni schioccanti chiamati click. Per cacciare usano l’arco con frecce avvelenate o il bastone da getto.

Per sedare la fame usano masticare parte di una pianta simile ad una cactacea (Hoodia gordonii) che contiene una sostanza particolare. Ipotesi non sicure suggeriscono che i San fossero presenti sulle coste del bacino del Mediterraneo nel Paleolitico medio.

I Khoi (Ottentotti) vivono più a sud dei ‘cugini’ San, sono anche allevatori e pastori, hanno statura più alta e le donne presentano più spesso la steatopigia (celebre a questa proposito la ‘Venere ottentotta’ portata a Parigi nel metà del Settecento).

Tra le attività dei Khoisan spiccano le pitture e i graffiti rupestri di ottima fattura assai simili a quelli che si rinvengono nel Sahara, risalenti a molte migliaia di anni fa; sulla base di questa testimonianza si ritiene che essi, un tempo molto numerosi, abbiano popolato quel deserto quando era ancora una steppa ricca di animali.

Il popolamento più recente dell'Africa

La popolazione nera è quella di più recente comparsa e anche quella che presenta il miglior adattamento al clima al sud del Sahara (e anche alle malattie endemiche di quei luoghi).

Le ipotesi sulla sua comparsa non concordano, ma sulla base della lingua Bantù, parlata in tutta l’Africa nera, sia pure con molti dialetti, si tende a collocarla tra Camerun e Senegal.

I neri, o Bantù, dalla lingua che li accomuna, presentano statura molto varia, dai Pigmei del Congo, non più alti di un metro e mezzo, ai Niloti del Sudan, alti due metri.

La pigmentazione della pelle è sempre molto scura, dal bruno cioccolato, fino al nero dei Senegalesi. Il viso è caratterizzato dal naso largo e insellato alla radice, dalle labbra molto grosse, dalla fronte alta; i capelli sono crespi, il prognatismo è modesto. Di solito la corporatura è robusta e la resistenza al lavoro duro in climi caldi è proverbiale. Tale caratteristica è stata causa del fatto che molti di essi, circa dieci milioni, siano stati deportati in America come schiavi, tra il Cinquecento e l’Ottocento. Il dissesto sociale, culturale ed economico causato dalla deportazione e poi dal colonialismo ha impedito e impedisce a molte nazioni africane di adeguarsi alle attuali esigenze delle società umane.

Le pretese delle ‘razze migliori’, dallo schiavismo al genocidio

La storia tortuosa del razzismo incomincia con la condizione in cui venivano ridotti i prigionieri di guerra, in tempi molto antichi. Venivano privati di ogni diritto e obbligati a svolgere lavori pesanti in cambio della pura sussistenza. Lo schiavo tuttavia aveva un prezzo che variava a seconda dell'età e della prestanza fisica. Per questo suo valore solo di rado subiva maltrattamenti o la morte. Uno schiavo poteva essere riscattato e, se aveva meriti eccezionali, nell'epoca romana, poteva diventare liberto e anche molto ricco.

Nel Medioevo, in base al diritto feudale, un feudatario diveniva padrone di terre e anche degli uomini che la lavoravano, servitù della gleba, condizione assai degradante. I prigionieri di guerra venivano messi, per lo più, ai lavori pesanti e veniva vietato trarre in schiavitù una persona della propria religione. Alla fine del Medioevo il possesso di uno schiavo diventò in certi casi uno status symbol e chi non poteva permetterselo teneva un manichino opportunamente abbigliato.

Alla fine del Quattrocento nella penisola Iberica il commercio degli schiavi era tutto monopolizzato da famiglie fiorentine, ma con la scoperta del Nuovo Mondo i reali di Spagna proibirono l'importazione di Indios resi schiavi: preferivano che rimanessero sudditi e producessero ricchezze e pagassero le tasse, invece di arricchire un padrone. I reali di Spagna tuttavia commisero l'errore di consentire nel Nuovo Mondo, l'Encomienda, la servitù della gleba: i coloni potevano appropriarsi di quanti schiavi erano in grado di tenere, senza renderne conto. Lo schiavo non aveva valore alcuno, morto uno se ne prendeva un altro: la sproporzione numerica tra coloni e indigeni all'inizio era enorme, ma con l'andar del tempo e con l'allargarsi della conquista i rapporti si invertirono. Gli schiavi della gleba non contavano nulla, molti morivano per gli stenti e le fatiche, molti preferivano uccidersi con l'acido cianidrico, sottoprodotto della produzione della manioca; altri si rifugiavano in luoghi inaccessibili, dove sopravvivevano per breve tempo. La conquista si trasformava in genocidio. Quando lo sterminio degli Indios, antichi abitatori dell’America, raggiunse il punto critico ai coloni europei cominciò a mancare la mano d’opera. Si rimediò con l’importazione di schiavi neri dalla Guinea, la cui costa meridionale prese il nome di Costa degli Schiavi.

Il traffico degli schiavi neri assunse subito un aspetto assai peggiore di ogni altra forma di schiavitù: in America il colore della pelle li faceva riconoscere prontamente come schiavi. Per loro non c’era scampo, per loro non esisteva alcuna possibilità di emancipazione, in nessun caso, per nessun loro merito era possibile ai neri riacquistare la libertà, nemmeno la loro discendenza ibrida poteva emanciparsi: qualunque traccia di origine africana riportava alla condizione di schiavo. D’altra parte nelle coste occidentali dell’Africa, e poi sempre più all’interno, la tratta degli schiavi scardinava ogni organizzazione sociale: i capi delle tribù che dovevano acconsentire alla emorragia dei giovani più prestanti, perdevano di prestigio e di autorità. A maggior ragione, ogni organizzazione statale e provinciale dei paesi arretrati si doveva arrendere al colonialismo. Simile situazione ha durato sino alla fine del Settecento, quando la rivoluzione industriale mise a disposizione il lavoro delle macchine a vapore e l’arrivo di tanti immigrati dall’Europa ridusse in vari luoghi il valore degli schiavi. Inoltre, la Rivoluzione Francese mise in circolazione nuove idee di società nelle quali la schiavitù non trovava posto, e ciò fece risorgere movimenti contrari alla schiavismo. Tuttavia una decina di milioni di schiavi aveva ancora un alto valore commerciale, costituiva un capitale immenso, che rendeva ricca e comoda la vita dei padroni e che andava difeso ad ogni costo. Bisogna aggiungere che allo schiavismo era alleato il colonialismo che forniva alle industrie europee materie prime in quantità enorme al costo minimo. La colonizzazione raggiungeva i luoghi più remoti della terra nei quali sopravvivevano popolazioni che mantenevano costumi primitivi. In quei luoghi furono perpetrati i primi genocidi. Charles Darwin che partecipava a un viaggio intorno al mondo fu testimone dello sterminio degli indigeni della Tasmania iniziato appunto intorno al 1832 (“... nel 1830 l’intera isola fu messa sotto legge marziale e fu proclamato che tutta la popolazione dovesse aiutare il governo nel grande tentativo di catturare tutti i selvaggi. Il piano adottato era quasi simile a quello di una grande battuta di caccia in India...”, da Viaggio di un Naturalista intorno al mondo, Charles Darwin, ed. Einaudi). Un altro episodio riguarda lo sterminio degli abitanti dell’arcipelago chiamato Terra del Fuoco, ospitava una popolazione che i missionari avrebbero voluto salvare e educare, fu tutta sterminata anche col veleno (la stricnina) fino all’ultimo individuo.

Per giustificare la schiavitù e lo sterminio totale di popolazioni arretrate è iniziata una contro-propaganda durata un secolo e più. L’argomento centrale di questa propaganda è stato il seguente: esistono varie razze umane, alcune delle quali sono migliori. Sanno edificare grandi città e prospere industrie grazie alla loro superiore intelligenza. La razza bianca è la migliore, mentre esistono razze inferiori del tutto refrattarie al miglioramento e all’educazione; queste, ibridandosi con la razza migliore, la inquinerebbero fatalmente. Simile tesi già adombrata nel passato è stata avallata in tutti i modi. Attraverso i resoconti di viaggiatori nei paesi arretrati, attraverso i libri scolastici nei quali si mettevano a confronto la razza bianca, rappresentata con le veneri e gli apolli della statuaria greca e i neri africani rappresentati brutti e deformi. Si è giustificata la tesi della superiorità con artificiosi argomenti genetici e attraverso i test dell’intelligenza messi a punto da Alfred Binet nel 1905. Intorno al 1925 è stato ridotto dagli Stati Uniti il contingente di immigrazione dei paesi mediterranei popolato da gente inferiore. Subito prima dell’ultima guerra è avvenuto il peggio, sempre in nome della superiorità razziale tramite la “Risoluzione finale” di sterminio da parte della Germania e la pubblicazione del “Manifesto della razza” in Italia. Dopo la seconda guerra mondiale è stata creata l’Organizzazione delle Nazioni Unite che ha proclamato eguali tutti gli uomini e i diritti dei quali godono a prescindere dal colore della pelle e della forma degli occhi, cosa che la scienza, ed anche il buonsenso, sostenevano.

Tutti gli uomini meritano eguale rispetto e dignità. E vanno protetti dalla fame e dalla paura. Purtroppo l’autorità dell’ONU è a rischio, questi principi vengono calpestati da chi ha interessi contrari. Qualcuno ha ironizzato, forse non a torto, che alcuni individui sono più eguali di altri, ma oggi si propone, cosa assai grave, che esistano popolazioni e razze non inferiori ma pericolose, che vanno tenute lontane e distrutte perché rappresentano un grave pericolo per i paesi industrialmente progrediti.

Epilogo

Molte persone in questo mondo ritengono che ricercare la derivazione dell’uomo da primati prossimi allo scimpanzé e al gorilla sia attività empia. Eppure sono molte le religioni e le filosofie che insegnano che è un dovere onorare i propri antenati, senza indicare limiti nel retrocedere nel tempo. È pietas filiale indagare sulle lontane peripezie dei nostri predecessori che hanno affrontato le inclemenze del tempo, i predatori, pericoli di ogni genere ed hanno elaborato culture nelle quali trovano posto l’operare razionale ed anche il dipingere e far musica. Così facendo hanno permesso a noi di vivere e di essere quelli che siamo.

Per saperne di più

Evoluzione di cranio e mandibola

Occhio mongolico

Popolazione mongolica

Distribuzione degli alleli del gruppo sanguigno I0 nelle Americhe

Aborigeni tasmaniani

Aborigeni australiani

Indigeni Papua

Homo sapiens neanderthalensis

Pittura rupestre nelle grotte di Altamira (Spagna)

Popolazione caucasica

Bastone a getto

Indice del capitolo

Il genere Homo

Indice opera