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Il determinismo comportamentale

 

I sociobiologi hanno 'creato' i geni del comportamento: unità comportamentali, arbitraie e comunque identificate su base puramente fenomenologica, e poi reificate in un genoma che, però, quale specchio di sole fantasie,diventa pura invenzione.

Vittorio Andreoli La norma e la scelta, EST Mondadori, 1984.

 

 In tempi recenti è stato accertato che vari moduli comportamentali sono ereditari presso molti artropodi e vertebrati e si è potuta anche seguire la loro evoluzione in certi gruppi animali. Questi fatti, insieme ai grandi successi conseguiti dalla genetica, hanno indotto alcuni 'sociobiologi' aderenti alla scuola dell'innatismo a postulare che la maggior parte delle reazioni comportamentali sono geneticamente prefissate, e quindi ineludibili: simile fatalità genetica renderebbe lecito affermare: 'dimmi di quali geni sei munito e ti dirò quale destino ti attende'.

Tale pretesa fa tornare alla mente quella della 'frenologia' che nella prima metà dell'Ottocento ha goduto di grande popolarità. Sostenevano i frenologi che ciascuna attitudine, ciascuna propensione, è localizzata in una ben precisa area della corteccia cerebrale: tanto più è sviluppata l'area, tanto più è prominente la 'bozza cranica' ad essa sovrapposta. Lo studio delle bozze o dei 'bernoccoli' avrebbe quindi consentito l'identificazione delle propensioni più marcate di ogni individuo.

La pretesa che vi siano geni preposti a ogni sorta di attitudini e propensioni ha una veste più scientifica e moderna della frenologia, ma è altrettanto ingannevole.

Da quanto considerato nel capitolo precedente risulta vero che ciascuna molecola di cui un organismo è munito è stata definita dal suo patrimonio genetico, ma è pur vero che il numero, la sede, la successione della produzione di queste molecole non sono definite in assoluto, bensì come norma di reazione a una situazione organica preesistente o ad una circostanza ambientale. E' anche vero che i collegamenti tra neuroni, cioè le reti neurali che governano i comportamenti, possono essere specificate geneticamente solo in un piccolo numero di casi, poiché ciascun collegamento implica l'intervento di un numero molto alti di geni.

Conviene ripetere che il numero di neuroni di un primate superiore è di circa 1011 (cento miliardi) e che ciascuno di essi attua in media mille collegamenti. Si ricava un numero di collegamenti di cinque ordini di grandezza (centomila volte) più grande del numero di coppie di nucleotidi che compongono il patrimonio ereditario di un gorilla o di un uomo (circa 109). D'altra parte, è ben accertato che in un mammifero il numero di collegamenti tra neuroni cresce in diretto rapporto con la ricchezza di stimoli che raggiungono il neonato e poi il giovanissimo individuo.

 Tali fatti e tali cifre sono più che sufficienti per invalidare le tesi degli innatisti ad oltranza. E si deve anche aggiungere che, col progredire dell'età, il comportamento di un vertebrato viene diretto - in misura crescente - dall'esperienza, cioè dalla memoria accumulata.

Per l'uomo va anche considerato che molte esperienze vengono ricercate attivamente e sono conseguenti a libere scelte.

Innumerevoli sono i condizionamenti innati e i condizionamenti imposti dall'ambiente, ma il farsi della personalità è una partita che si svolge, sì nel rispetto di regole prefissate, ma che si può giocare in un numero di modi di gran lunga superiore al numero di modi in cui si stima possa essere giocata una partita a scacchi, cioé alla centesima potenza di dieci, cioè a 10 seguito da cento zeri.

Ci troviamo in un campo che esula da ogni possibile elaborazione matematica, da ogni possibilità di previsione. 

 

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