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Il sondaggio dell'ambiente

Strategie vincenti

A ogni predatore per raggiungere la vittima occorre in primo luogo reperire le tracce, i segnali, che questa - suo malgrado - lascia dietro a sè. L'animale che non dà alcuna informazione di sè dovrebbe essere al sicuro.

Tuttavia anche animali apparentemente elusivi, come i calamari giganti che vivono nei bui abissi marini e le farfalle che volano silenziose nell'oscurità notturna hanno "nemici" pericolosi dai quali non sono adeguatamene protetti. Capodogli, pipistrelli e altri predatori riescono a raggiungere la preda meglio nascosta - sondando l'ambiente mediante l'emissione di qualche forma di energia da loro generata di cui raccolgono il riflesso, o l'eco. Proprio come fa un ladro col fascio di luce di una torcia elettrica, come fa un medico che sottopone il paziente all'ecografia, come fa un cieco che procede battendo il bastone sul selciato.

Ma forse conviene ricorrere a esempi tratti da competizioni più cruente e drammatiche.

Durante la seconda guerra mondiale erano in uso due diversi sistemi per individuare nel buio della notte gli aereoplani nemici.

Presso un esercito si impiegavano due enormi imbuti mobili in senso verticale e orizzontale che raccoglievano e amplificavano il rumore dei motori proveniente dal cielo: di conserva si muovevano le fotoelettriche (spente) e le artiglierie. Al momento in cui il segnale captato da entrambi gli imbuti coincideva e aveva raggiunto il valore massimo, si accendevano le fotoelettriche e i cannoni si trovavano già puntati sul bersaglio illuminato.

L'altro esercito impiegava un'apparecchiatura rotante che lanciava impulsi di onde-radio ultracorte e ne raccoglieva l'eco riflesso dall'aereo che era stato investito da questi impulsi. Distanza, traiettoria e velocità venivano identificate su una schermo a raggi catodici, e nel contempo le artiglierie venivano puntate in funzione di questa identificazione.

Il primo sistema di identificazione e puntamento presentava uno svantaggio: il segnale acustico poteva risultare distorto dalla disposizione e dal movimento degli strati d'aria e - soprattutto - il pilota dell'areo nemico veniva informato dell'imminente arrivo dei proiettili dal fascio di luce che lo lambiva; ciò gli dava la possibilità di scampare picchiando, ad esempio, velocissimo verso il suolo dove non poteva essere seguito.

Il sondaggio dello spazio con fasci di energia elettromagnetica di cui si raccoglieva l'eco era molto più efficace e consentiva alle artiglierie di sparare al buio, attraverso le nuvole, con alta probabilità di raggiungere l'aereo di sorpresa.

Solo dopo questi sviluppi della tecnologia militare ci si è accorti che fin da epoche remotissime varie sorta di animali rintracciano la preda e scansano ostacoli sondando lo spazio con sistemi del tutto simili.

 

Sondaggio mediante ultrasuoni

 I pipistrelli (microchirotteri) lanciano onde ultrasonore che vengono riflesse dagli ostacoli fissi o mobili. In base all'analisi di questi echi, tali animali anche nelle notti più buie e nelle caverne più profonde sanno evitare gli ostacoli fissi, e sanno stabilire una rotta di collisione con gli insetti da abboccare . Il potere risolutivo del dispositivo di ecolocazione è tanto maggiore quanto più è alta la frequenza dei suoni emessi; la frequenza usata dai pipistrelli (da 20 a 90 kiloHertz) è tale da consentire la percezione a un metro di distanza di fili di solo 0.07 mm di spessore (inferiore a quello dei capelli) e di abboccare moscerini e farfalle aventi sezioni di urto di 2 mm2 e anche meno (fig).

E' da notare che alcune specie di farfalle notturne hanno recettori sintonizzati sulle frequenze più usate dai pipistrelli nelle loro cacce (30-45 kiloHertz) e che non appena percepiscono il segnale lanciato del predatore, si difendono con lo stratagemma illustrato sopra: si lasciano cadere a picco. Altre farfalle hanno un rivestimento che assorbe tali onde attenuando così il pericoloso segnale di ritorno che le rivela al predatore. Altre ancora, emettendo segnali sulla lunghezza d'onda usata dal pipistrello, gli comunicano che sono cariche di veleno e che è meglio per lui lasciarle campare.

Presso i Cetacei esistono sistemi analoghi che consentono di evitare gli ostacoli durante la navigazione e di localizzare le prede nella vastità del mare. Emettono però onde ultrasonore con frequenza molto più elevata di quelle del pipistrello (fino a 200 kiloHertz) per compensare la più alta velocità di conduzione del suono posseduta dall'acqua (circa quintupla di quella dell'aria); gli odontoceti (delfini e capodogli), inoltre, sono in grado di far convergere queste onde in fasci piuttosto ristretti mediante una lente formata da una massa globulare di olio situata tra il cranio e la mascella .

Simile attrezzatura consente al capodoglio di localizzare i calamari giganti (Architeuthis), di cui si diceva prima, che vivono a 400-600 metri di profondità. Sembra anche, ma non se ne ha la certezza, che il capodoglio riesca a paralizzare la vittima lanciandole contro da vicino una salva di ultrasuoni di spaventevole intensità.

L'exploit più straordinario, tuttavia, è quello dei delfini di fiume (Platanistidi) i quali, vivendo in acque perennemente torbide, hanno perso l'uso della vista (l'olfatto l'avevano perso molto prima) e dipendono in tutto e per tutto dai segnali acustici che lanciano sia per evitare gli ostacoli, sia per localizzare i pesci di cui si nutrono.

 

Il sondaggio dell'ambiente con campi elettrici

I pesci che si muovono nelle libere acque del mare o dei laghi, cioè i pesci pelagici, incontrano pochi ostacoli, ma quelli che vivono sul fondo, e si debbono muovere in acque fangose o al buio, rischiano continue collisioni con scogli o con altri animali pericolosi

Questo problema ha trovato una soluzione insolita nel regno animale. Il pesce produce, mediante un tessuto neuromuscolare specializzato, una rapida successione di scariche elettriche che generano campi elettrici.          

Se l'ambiente è elettricamente isotropo, questi campi risulteranno simmetrici e di forma regolare; se però in esso compare un corpo cattivo conduttore (un sasso) o un corpo buon conduttore (un pesce) il campo viene distorto in modi diversi. Appositi sensori (recettori elettrici) dislocati sui fianchi dell'animale registrano tali variazioni e l'animale si regola di conseguenza evitando ostacoli ed eventuali aggressori, e identificando le prede.

In acqua dolce, dotata di bassa conducibilità (poiché gli elettroliti e quindi gli ioni disciolti sono pochi), il sistema funziona bene anche a bassi voltaggi e sono molti i pesci di fondo che se ne servono. Tuttavia la scarica del tessuto neuromuscolare di alcune specie può raggiungere un'intensità (fino a 1A) e un voltaggio (fino a 600 V) tali da poter tramortire la preda o l'aggressore. E' questo il caso della ben nota anguilla elettrica dei fiumi dell'America tropicale (Electrophorus electricus) e di un pesce gatto (Malapterurus electricus) dei bacini dell'Africa equatoriale (fig. 9-17).

Nei mari, ove l'acqua porta in soluzione molti elettroliti e ha quindi una conducibilità molto elevata, si formano campi elettrici deboli e molto ampi, poco utili per dirigere la navigazione. I pesci marini che generano campi elettrici sono selaci di fondo, le torpedini, che in un remoto passato dimoravano nelle acque interne e se ne servivano per la navigazione, mentre oggi se ne servono per difesa e per offesa. Solo una specie di teleosteo elettrico vive in mare e i suoi segnali pare servano per comunicare con i propri simili. (Interessante ricordare che il primo rapporto dell'uomo con l'elettricità è stato appunto con i pesci elettrici, e che Volta e Galvani ne hanno fatto oggetto di attento studio).

 

Il comportamento del cane da caccia

Il comportamento animale si complica ovviamente quando gli organi di senso si fanno più vari ed efficienti.

Porteremo ad esempio il caso di un cane affamato a caccia di lepri (si badi che di regola il cane caccia in branco). Il cane fiuta inquieto il terreno e il vento. Il vento gli porta l'odore di una miscela di molecole che gli è ben nota, si mette dunque in moto procedendo contro vento. Sono i recettori termici della pelle umida che circonda le narici che gli permettono di identificare la provenienza del vento e quindi dell'odore. Il cane fiuta il vento e il terreno spostandosi da destra verso sinistra e, quando l'odore si attenua, torna a portarsi verso destra finché il segnale si attenua ancora, e così avanti a zig-zag finchè i recettori olfattivi sono tutti saturati da quelle molecole: ciò indica che la preda è vicina.

L'animale ora 'punta' silenzioso utilizzando l'udito, e, quando ode il cauto sfrascare della lepre si lancia tra l'erba: la lepre fugge via. Il cane ora insegue a vista. La lepre descrive un ampio semicerchio, ma l'inseguitore non tenta alcuna scorciatoia, non taglia secondo la corda dell'arco di cerchio poiché la preda può scartare di lato lasciandolo spiazzato. La lepre è ora fuori di vista al coperto di un rilievo. Il cane ricomincia il programma da capo: prima fiutare, poi ascoltare, e quindi inseguire a vista, sempre con la speranza di utilizzare anche il tatto e il gusto.

Questa sequenza ha una sua logica: individuare prima i segnali olfattivi che persistono nel tempo e seguirli fin dove è possibile, raccogliere poi i segnali acustici che forniscono un più pronto orientamento, pur aggirando gli ostacoli; dopo l'udito conviene usare la vista, la quale fornisce segnali direzionali (ma che vengono intercettati da ostacoli), puntando sempre diritto sull'obiettivo.

 

Il territorialismo

Il territorialismo è un comportamento molto diffuso, consistente nell'escludere competitori - specialmente quelli della propria specie e del medesimo sesso - da una determinata area di foraggiamento e riproduzione. I confini dell'area protetta vengono di solito marcati con sostanze odorose - secrezioni ghiandolari ed escrementi - , ma molti uccelli essendo poveri di olfatto inibiscono l'accesso ai concorrenti con il loro canto. In questo caso il canto può fungere anche da invito alla femmina.

Il territorialismo verrebbe designato da una certa corrente di pensiero come comportamento 'egoistico', ma l'uso di questo termine sarebbe in questo caso oltre che improprio anche grossolanamente errato.

Il comportamento territoriale infatti ha l'effetto di inibire la riproduzione ad un contingente della popolazione al fine di evitare un sovraffollamento e quindi la spoliazione del territorio con danno grave per le generazioni future.

I carnivori manifestano una sorta di territorialismo anche nei riguardi di carnivori di specie diversa, le contese tra cane e gatto ne sono un esempio. A proposito dei gatti va poi aggiunto che la loro riluttanza a lasciare una dimora vecchia per una nuova è legata anche al fatto che nella prima avevano difeso (e talvolta conquistato a fatica) un proprio territorio che abbandonano molto mal volentieri, dovendo ricominciare tutto da capo.

 

La vita di branco

Molti animali conducono vita gregaria. Le mandrie di grossi erbivori, gli sciami di pesci, 'le scuole' dei cetacei, gli stormi di pappagallini ondulati e di stornelli ne offrono esempio.

La vita di branco offre vantaggi soprattutto per la difesa: la tigre teme di venir calpestata a morte dalla mandria di bufali atterriti, e il leopardo evita di assalire un branco di babbuini che si muove con i maschi più robusti disposti all'esterno, mentre l'antilope 'diluisce' nel branco la probabilità d'essere presa di mira in modo particolare.

Per tale motivo la vita di branco è evoluta presso i più vari gruppi animali imponendo alcune soluzioni parallele e altre divergenti. La gerarchizzazione è un elemento costante della vita di branco dei vertebrati superiori per cui gli individui sono subordinati l'uno all'altro e tutti lo sono all'individuo a, il capo del branco. Questi ha il compito di tenere unito il gruppo e di guidarlo e anche di intervenire per sedare le risse. La gerarchia non è stabile: le malattie e le ferite decretano spesso la retrocessione del capo, mentre i giovani, a mano a mano che acquistano vigore ed esperienza, avanzano nella gerarchia. Presso alcune specie l'avanzamento può essere scandito da combattimenti che culminano con lo spodestamento dell'individuo a. Il combattimento a volte è cruento, ma più spesso è ritualizzato; i contendenti si limitano a 'mostrare i muscoli'. Nei primati la posizione gerarchica della femmina può variare anche in rapporto alla fase del ciclo riproduttivo.

Altra caratteristica della vita di branco è il reciproco riconoscimento dei membri (anche se i modi sfuggono all'osservatore umano): due branchi molto numerosi si possono mescolare all'abbeverata, per esempio, e quindi si separano senza alcun errore.

Nei branchi di ungulati, di pinnipedi (foche, otarie), e presso talune specie di uccelli l'accesso alle femmine recettive è riservato al maschio dominante il quale si costituisce una sorta di harem, per cui buona parte della nuova generazione è costituita dai suoi figli.

Nei branchi dei primati non umani non avviene altrettanto: di solito le femmine in estro manifestano all'inizio una certa promiscuità che non provoca gelosia; in sèguito possono formarsi coppie stabili per qualche tempo, ed i soggetti vengono indicati come 'consorti'.

La vita di branco non modifica il rapporto tra madre e figli, che spesso ne viene rafforzato, e allo stesso tempo promuove lo sviluppo dell'eredità culturale: molte attività che in altre specie sono esplicate in modo puramente istintivo nelle specie gregarie vengono apprese osservando i propri simili, e ciò risulta vero persino per le cure materne: una scimmia che sia stata allevata fin da neonata senza contatti coi suoi simili manifesta anomalie di comportamento tra le quali l'incapacità di accudire al proprio neonato.

Talvolta gli individui di specie gregarie presentano una qualche forma di territorialità riservandosi uno spazio all'interno del branco, non si osserva però una territorialità di branco.

 

La vita sociale.

La vita gregaria presso alcune specie si è evoluta culminando nella vita sociale. E' difficile stabilire il confine tra i due modi di vita, e il caso dei gruppi di scimpanzè ne offre un esempio. In linea di massima si può dire che un animale sociale non è in grado di sopravvivere a lungo se rimane del tutto isolato e si può aggiungere che in una società vi è divisione dei compiti tra i membri. Ma nel caso dei mammiferi ciò non risulta sempre vero.

Costumi sociali sono comparsi presso le tèrmiti (insetti isotteri) presso le vespe, le api e le formiche (insetti imenotteri), presso i canidi e i primati. Se ne farà cenno nei capitoli dedicati a tali animali. In questa sede è però necessario segnalare tre fenomeni che si sono affermati a sèguito della evoluzione della vita sociale.

In primo luogo, sono inibiti tanto il territorialismo individuale quanto l'aggressività tra membri del gruppo, comportamenti che disgregano la struttura superindividuale.

 In secondo luogo, le comunità di animali sociali tendono a comportarsi ai fini dell'evoluzione, come 'superindividui'. Sicchè tra queste comunità si può istituire una competizione che porta alla selezione di caratteri del tutto inconsueti o impensabili presso gli individui di animali non sociali: la sterilità, ad esempio, di una quota di individui. Ad esempio un nucleo sociale che ha un tasso riproduttivo tale da deteriorare l'ambiente in cui vive sparisce, mentre un altro nucleo, che per motivi fisiologici o comportamentali ha un tasso riproduttivo inferiore sopravvive ed eventualmente si moltiplica, finendo col sostituire quello che appariva avvantaggiato dalla maggiore prolificità.

In terzo luogo, l'attività riproduttiva degli animali sociali tende a modificarsi fino al punto che, presso le società di insetti, e presso certi roditori che vivono sottoterra (gli Eterocefali), la riproduzione è riservata a una sola coppia fertile; ciò ha probabilmente lo scopo di evitare i danni causati dall'endogamia. Infatti gli accoppiamenti o la costituzione della coppia avvengono al momento della sciamatura, quando le femmine fertili abbandonano la comunità in cui sono nate e si incontrano con maschi provenienti da altre comunità.

 

Le emozioni

Le emozioni hanno sempre attirato l'attenzione degli psicologi e dei moralisti per il loro aspetto incoercibile : l'ilarità fa esplodere risate irrefrenabili e la collera può far compiere furiose aggressioni a una persona mite, reazione del tutto contraria ai suoi principi.

Descartes (1596-1650) ha dibattuto la questione in termini scientifici e duecent'anni dopo Claude Bernard (1813-1878) l'ha trattata sotto il profilo fisiologico. Nei decenni seguenti se n'è parlato poco poiché agli studiosi di psicologia comparata è sembrato un arbitrio l'attribuire agli animali le emozioni cui va soggetto l'uomo. Finita la seconda guerra mondiale il comportamento aggressivo è stato portato al centro dell'interesse, poiché era diventato drammaticamente chiaro che esso poteva portare alla fine dell'intera umanità.

Per orientarsi sui rapporti tra comportamento e fisiologia un filo conduttore può essere offerto - una volta di più - dal confronto tra la tecnologia del vivente e la tecnologia delle macchine.

Claude Bernard ha saputo dimostrare, nel secolo scorso, che il susseguirsi di reazioni fisiologiche che accompagnano l'insorgere della paura e della collera ha lo scopo di mobilitare tutte le risorse dell'organismo. Le reazioni vasomotorie provocate dalla scarica di adrenalina sono numerose e coordinate : si riduce la circolazione cutanea attraverso la vasocostrizione periferica (pallore) mentre aumenta l'irrorazione dei muscoli e di alcuni organi interni. La spremitura della milza accresce la massa degli eritrociti circolanti mentre la dilatazione dei bronchi agevola la ventilazione polmonare e quindi gli scambi gassosi, poiché nel contempo aumenta la gittata cardiaca. Aumenta anche la coagulabilità del sangue, circostanza che, insieme con la vasocostrizione periferica, limita le conseguenze di eventuali ferite superficiali. Parallelamente si riduce la sensibilità dolorifica e cresce la rapidità delle risposte motorie.

Il dispositivo messo in luce dal grande fisiologo francese ha trovato imitatori (involontari) presso i costruttori di motori. Alcuni autocarri sono muniti di un dispositivo che accresce la potenza del motore allorchè il veicolo deve affrontare una forte pendenza a pieno carico; anche il motore (a pistoni) di certi aerei da caccia era munito di un dispositivo di sovralimentazione da inserire in vista di un combattimento. Superata l'emergenza il camionista o il pilota disattivano il dispositivo per non rovinare il motore. Anche la macchina fisiologica, finito il pericolo, ritorna al ritmo di base: star sempre sotto pressione riduce le prospettive di vivere a lungo.

Il nodo dell'intera questione sta nel capire come l'organismo registra in modo non consapevole e non ragionato l'emergenza, o il pericolo, e scatena la mobilitazione generale, mobilitazione del tutto fuori dal controllo volontario.

Non è errato e nemmeno semplicistico ammettere che durante l'esecuzione di un programma il sistema nervoso commisuri, in modo del tutto inconscio, le risorse fisiche alle difficoltà che si susseguono: allorquando un ostacolo difficilmente superabile si para dinnanzi, questo sistema provoca la scarica di adrenalina e con essa il corteo di reazioni fisiologiche sopra descritte: il soggetto prova collera. Sperimentare in proposito non è difficile (ma non sempre consigliabile) : basta intralciare chi sta eseguendo un lavoro urgente e delicato, basta ostacolare un autista che sta eseguendo un sorpasso, per vedere questi soggetti in preda alla collera, per renderli aggressivi.

Anche l'insorgere della paura trova spiegazioni semplici : ogni e qualunque programma è governato dall'afflusso di certe informazioni sensoriali; se qualcuna di esse viene meno, la paura insorge automaticamente. Sorge ad esempio quando si sente mancare la terra sotto i piedi mentre si corre, quando un improvviso frastuono nasconde un fievole richiamo che si sta seguendo, quando non si rintraccia nell'archivio mnemonico la risposta da dare a un quesito. La reazione fisiologica alla paura è duplice. Da una parte l'arresto del programma, e quindi l'immobilizzazione (se possibile), dall'altra la ricerca di un percorso alternativo e la fuga.

Naturalmente gli esempi esposti forniscono solo un filo conduttore per la comprensione degli stimoli che innescano le emozioni. Non occorre spingere oltre questo esame; in questa sede basta aver chiarito che l'insorgenza delle emozioni è al di fuori del controllo volontario. Ciò comunque non esclude che un controllo volontario possa inibire, non le reazioni fisiologiche, ma le reazioni aggressive, o, quantomeno, che possa agire sulla misura delle reazioni aggressive. 

Ecolocazione dei pipistrelli

 

 

 

Ecolocazione nei delfini

 

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